È solo la fine del mondo- Xavier Dolan (2016)


“Non è la fine del mondo” sbotta ad un certo punto Louis, minimizzando la portata del suo viaggio.  Un modo di dire, un’ espressione collettiva di comodo riciclo.  Ma come si fa, come si dice, quando è davvero la fine del mondo?  La docilità di Louis, la dolcezza imbarazzata, la passività affranta, sono strati di trucco sopra un volto bruciato da quella domanda. Louis studia internamente le combinazioni possibili del linguaggio, così da sciogliere il verso di ciò che gli sta accadendo. Lo immagino, mentre contempla l’assurda idea di rovesciare una stupida, trita frase fatta: “è la fine del mondo”. Poi si premura d’aggiungere una nota di consolazione: “è solo la fine del mondo”.

Fuori, tutto intorno, si combattono altre guerre di parole contro le parole. Nella madre, in Antoine, in Suzanne, anche in loro abita il disperato desiderio di schiudersi. Lo riconosco, ha il familiare tuono delle urla, il rombo secco dei pugni sul tavolo, lo stridio delle sedie lasciate brutalmente vuote. Al di là c’è Catherine, triste, impacciata e quasi balbuziente, un po’ come la Kyla di “Mommy”. Un personaggio meravigliosamente "pericoloso", malgrado l’apparenza, capace più degli altri di leggere e tradurre segni.

“Dillo con parole tue”, così si invita l'altro a raccontare. Il dramma è appunto questo, che le parole sono di tutti, ma di nessuno in particolare. Non esistono parole speciali, parole che ci si cuciano addosso. Allora Louis tace, e il suo segreto, il segreto del suo mondo, che tanto ha cercato  una via d’uscita, si riversa esausto sul pavimento in penombra.


(dicembre 2016)

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