Il condominio dei cuori infranti *- Samuel Benchetrit (2016)


Un rumore inorganico, lo sbattere metallico di uno sportello, giunge alle orecchie dei condomini come suono organico: il grido di un bambino, il ruggito di una tigre. E’ più forte di noi, decifrare emotivamente i segni del mondo, tradurli consultando i lemmi imprevedibili del nostro dizionario interiore. Benchetrit mette in scena una battaglia tra lessici antitetici, così da acciuffare la vera scintilla di ogni incontro: la collisione dei sentimenti. Ma affinché il prodigioso incidente accada, è necessario rinunciare alla sicurezza arsa dell’asfalto; accettare invece le contraddizioni polverose, gli squarci di dolore, i margini sfumati delle strade che congiungono i cuori. Proprio come fa John, astronauta americano, quando esplora l’universo affranto dell’algerina Hamida, e le canta sussurrando che “everything is gonna be all right”. Come fa Gustave, quando con ardore eastwoodiano sfida la reticenza tremante dell’infermiera di notte. Come fa Charly, quando esorta l’attrice Jeanne a ritrovare l’autenticità di un tempo, quella che l’aveva resa splendida in un film del 1982. Un film che esiste davvero, sebbene in realtà sia del 1977, a colori, e s’intitoli “La merlettaia”: meraviglioso manifesto di fragilità. Fragilità.


Ripenso ad un incontro a Venezia. Sono in una grande terrazza pubblica affacciata sul mare. Mi sto chiedendo dove si passi per raggiungere la spiaggia. S’avvicina un ragazzo, indica davanti a sé, mi dice qualcosa in spagnolo. Io non conosco lo spagnolo, ma colgo l’inflessione interrogativa, e afferro, tra tutto, la parola “playa”. Intuisco che vogliamo tutti e due la stessa cosa. Vogliamo il mare. Non lo vogliamo forse tutti?



*Titolo originale: "Asphalte" 



(marzo 2016)

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