Mommy - Xavier Dolan (2014)


In un'unica bolla esistenziale si raggiungono alte quote e si esplorano profondità sotterranee. I disinganni della crescita ci costringono a ridefinire il concetto di affettività, a registrare il cielo e l'inferno. Steve, anche per via del disturbo che lo trascina sempre ai poli di ogni emozione, è icona della convivenza di moti contrastanti. Del resto sono proprio gli estremi, le pareti opposte delle inquadrature, i primi elementi che saltano all' occhio. Passioni asfissianti che spingono da ogni lato, che obbligano a barcollare in un centro instabile. A volte riusciamo ad allargare il perimetro del nostro agire, a srotolarci liberi su una superficie di irriflessione, per rilassare i nervi e sgranchire i pensieri. Dura poco, è meraviglioso.
Dolan circoscrive queste dinamiche nella storia d'amore fra una madre e un figlio. Soddisfa un' urgenza autobiografica, ma impedisce anche allo spettatore di lambiccarsi sull' autenticità dei sentimenti, anziché sulla loro vulnerabilità.

Steve e Diane, come tutte le perone che si amano, combattono sole contro la volgarità; sembrerebbe appartenere al loro linguaggio e abbigliamento "osceni", s'insinua invece nella grammatica perfetta delle ingiunzioni, nella prassi del licenziamento, nella tattica dell' abbandono.
Il loro è un assetto chiuso che teme e attende un' intrusione. Kyla si inserisce nella lunga tradizione del personaggio-ospite, dello sguardo estraneo che ha una funzione soprattutto narrante (la narrazione è il modo in cui decifriamo le cose che ci accadono). Si inserisce nella tradizione dicevo, ma con una peculiarità fondamentale: lei vuole essere guardata e decrittata a sua volta (non è un caso che Dolan abbia voluto assegnare proprio alla figura rivelatrice il limite della balbuzie). Questa rimbalzante vicendevole necessità d'essere intercettati dall'altro trova una sua delicatissima espressione nel momento dell' addio tra Kyla e Diane. Una delle scene che ho preferito in assoluto.

La musica raramente ha avuto un ruolo tanto fondamentale. Viene introdotta spesso come componente diegetica, è la musica che i personaggi ascoltano. Può non corrispondere ai nostri gusti, anzi credo abbia il preciso scopo di sfidarli. L'ultima canzone, "Born to die", ovviamente trova senso anche attraverso il titolo. "Die" è il nomignolo di Diane, si firma così in una delle prime scene, disegnando un cuoricino al posto del punto sulla i.
Quel qualcuno da cui ci si vuol separare, da cui si ritorna sempre.



(dicembre 2014)

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